mercoledì 24 settembre 2014

L'oggettività dell'oggetto


«Quando i miei due bambini hanno raggiunto lo stadio dell'interesse per le immagini, una ricerca personale mi ha rivelato che praticamente non ne esistevano che potessero essere considerate da una parte appaganti per loro e dall'altra in linea con le moderne teorie dell'educazione. Così, ho pensato che fosse necessario creare un libro che contenesse immagini di questo tipo, non solo per i miei figli, ma anche per tutti gli altri bambini che manifestavano un bisogno analogo. Le immagini che presentiamo qui sono state approvate dai bambini di una scuola per l'infanzia progressista di questo paese.»

Una dichiarazione baldanzosa e un po' ingenua, quella che funge da prefazione a The First Picture Book: Everyday Things for Babies, un libro pubblicato negli Stati Uniti nel 1930 (ma più facilmente reperibile nella ristampa del 1991, con una postfazione di John Updike) da un'idea di Mary Steichen Martin Calderone. Il libro raccoglie una serie di immagini fotografiche, non accompagnate da testo, che ritraggono oggetti quotidiani. Il fotografo è Edward Steichen, padre di Mary, fondatore con Alfred Stieglitz della rivista Camera Work, grafico, curatore di musei e gallerista.




La struttura del libro non è dissimile da migliaia di altri: immagini di oggetti di uso quotidiano che il bambino riconosce e, con l'aiuto dell'adulto, nomina e, nominandole, le fa esistere. «È in questo,» aggiungeva Mary Steichen, «che sta il piacere che i bambini traggono dalle immagini: a loro piace riconoscere ciò che conoscono; per loro è un piccolo trionfo personale. Ed è anche un conforto e un godimento.»





Ma di libri di questo genere ne esistevano già a decine, stampati su carta o su stoffa, di grande e piccolo formato, illustrati con disegni degli stili più vari. Erano il materiale di base della nursery e della scuola materna, fin dai tempi dell'Orbis Pictus del Comenio. Ciò che rende questo libro speciale è il ricorso alla fotografia, associata a una specifica e ricercata qualità delle fotografie utilizzate. Sempre secondo Mary Steichen, «La maggior parte di queste illustrazioni sono inadeguate e, troppo spesso, sono colorate dal punto di vista dell'artista e sulla base di una sua interpretazione personale, che presentano un'immagine falsificata dell'oggetto. Per questo abbiamo fatto ricorso alla fotografia.»



Le foto di Steichen si sono perfettamente adeguate allo scopo e, a distanza di ottant'anni, in queste immagini possiamo leggere una anticipazione della tendenza, poi pienamente espressa dall'arte pop di Andy WarholRoy Lichtenstein e Ed Ruscha, di considerare il quotidiano come arte in sé.



È interessante notare come Mary Steichen, medico e promotore della causa dell'educazione sessuale e della pianificazione delle nascite negli Stati Uniti degli anni Trenta, rifiutasse completamente l'approccio fantastico all'illustrazione destinata ai bambini, considerando, al contrario, la realtà «di primaria importanza nei primi tre anni di vita del bambino.»



L'idea portante di questo libro, ancora oggi disponibile in libreria, era integrare le immagini e le parole in forma di discorso: «parlare al bambino delle cose che conosce, connesse fra loro in base ai connotati della sua esperienza e in termini che gli siano familiari.» L'obiettivo era educare il bambino alla consapevolezza della realtà, in modo che fosse un bambino migliore e conquistasse, da adulto, una maggiore sicurezza.



La fotografia non ha mai conquistato un posto stabile nella produzione di albi illustrati per bambini e ragazzi. Forse possiamo attribuire la sporadicità del suo utilizzo proprio alla difficoltà di realizzare immagini neutre o, come scrive Mary Steichen, "oggettive": «Il fotografo [cioè il padre dell'autrice, ndr] ha eliminato nella misura del possibile ogni fuorviante gioco di luci e ombre, presentando ogni oggetto più “oggettivamente" possibile, in modo che nessun "effetto" possa confondere il bambino.» Questa oggettività, così evidente delle foto di Edward Steichen, riesce a trasformare gli oggetti in archetipi, a dar loro validità universale a prescindere dai connotati che caratterizzano lo specifico oggetto fotografato.




Forse da questo libro potrebbe partire una riflessione intorno alla tendenza, molto contemporanea, di offrire ai bambini più piccoli immagini graficamente sintetiche, caratterizzate da estrema asciuttezza di forme e brillantezza dei colori, realizzate quasi esclusivamente con strumenti di grafica vettoriale. Forse quella che oggi sembra l’unica strada percorribile per abituare i bambini molto piccoli a leggere e riconoscere le immagini senza scivolare nel didascalico, non è poi così unica. Forse ci sono altri approcci estetici e altri strumenti da sperimentare.





A proposito di libri fotografici per la prima infanzia, questo pezzo era pronto da qualche giorno, in attesa di essere pubblicato quando è uscito questo breve articolo di Mara Pace su La Stampa.

Tutte le citazioni virgolettate sono tratte dalla prefazione di Mary Steichen all'edizione del 1930 del libro.

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